Di Comma22 | 29 Giugno, 2017
Categoria: News
Non merita la prima pagina la notizia del tentato suicidio di una disoccupata che si è data fuoco nella sede dell’Inps di Torino Nord, esasperata dal trattamento ricevuto dall’ente previdenziale: solo un occhiello sulla Stampa, Il Fatto Quotidiano e il Manifesto, relegata in cronaca dagli altri giornali. Licenziata il 13 gennaio scorso, solo il 26 giugno aveva ricevuto parte dell’indennità mensile di giugno, rifiutatale per il periodo dal 14 gennaio al 31 maggio.
Un comunicato stampa dell’INPS liquida la vicenda come ordinaria amministrazione: la signora al momento del licenziamento era in malattia e, benché alla data di presentazione della domanda (24 gennaio) non fosse più coperta dal certificato di malattia, avrebbe dovuto allegare alla domanda un certificato che attestasse “il riacquisto della capacità lavorativa”; tale certificato è stato presentato dalla signora il 26 maggio e pertanto l’INPS ha negato il diritto all’indennità di disoccupazione per il periodo dal 13 gennaio al 31 maggio ed ha proceduto il 26 giugno (un altro mese dopo!) al pagamento dell’indennità spettante per i primi quindici giorni di giugno. Fine della storia per l’INPS, tutta colpa dell’utente.
Il comunicato evita di spiegare come mai il certificato “è stato richiesto il 27/04/2017 dall’agenzia Inps di Torino Nord”, vale a dire più di tre mesi dopo la presentazione della domanda, e anche come è stato richiesto: forse non tutti sanno che l’INPS, che impone agli utenti di inviare tutte le domande esclusivamente per via telematica, poi risponde agli utenti per posta ordinaria.
Eppure la legge (312 del 1980), in assenza di un termine per il procedimento individuato dall’INPS, impone alle pubbliche amministrazioni un termine di trenta giorni per la conclusione del procedimento; e prevede che, in caso di ritardo, l’utente abbia diritto al risarcimento dei danni. Come tante altre pubbliche amministrazioni, delle leggi che tutelano i cittadini l’istituto previdenziale non si cura e con un comunicato come questo l’INPS riesce a trasmettere la sensazione che la colpa sia dell’utente, che nel compilare la domanda non ha rispettato “la normativa vigente”.