Di Comma22 | 28 Febbraio, 2023
Categoria: News
A dicembre scorso avevamo denunciato come l’intervento del sottosegretario all’innovazione tecnologica Alessio Butti sulla intenzione di superare lo SPID sembrasse avere l’obiettivo di dare spazio alle richieste della lobby degli identity provider di un rientro economico (quantificato in 50 milioni di euro) delle risorse investite per istituire e gestire il sistema SPID.
Gli interrogativi sulle opache modalità di gestione della vicenda si intensificano di fronte all’improvvisa drammatizzazione del confronto in atto. Vista l’assenza di comunicati ufficiali del Governo, nonché dell’AGID, che è il soggetto pubblico deputato alla gestione dello SPID, occorre far riferimento agli articoli di stampa. Da quello che si legge, a esempio su Wired, le convenzioni con gli identity provider sarebbero scadute quasi tutte il 31 dicembre scorso e sarebbero state prorogate d’ufficio dal Governo fino al 23 aprile 2023.
Eppure sul sito dell’AGID appare un elenco delle convenzioni sottoscritte dai gestori di identità digitale attualmente in corso di validità, con le relative date di sottoscrizione, diversificate e risalenti quasi tutte a ottobre/novembre 2017, tranne quella con Poste Italiane, sottoscritta il 18 dicembre 2017.
Stando a quanto pubblicato sul sito AGID, tutte le convenzioni dovrebbero essere in corso di validità, dato che hanno tutte una durata di cinque anni, che per diverse è previsto il rinnovo automatico per altri cinque anni, e che per tutte è previsto, in caso di recesso da parte degli identity provider, un preavviso di almeno un mese. Del resto, nella lettera inviata il 19 dicembre scorso dal sottosegretario Butti al Corriere della Sera, non c’è alcun riferimento alle scadenze delle convenzioni, ma si parla di esiti incoraggianti dei confronti con gli stakeholder coinvolti e di puntualizzazioni nei prossimi mesi con estrema trasparenza.
Ancora più misterioso appare quindi l’annunciato riferimento alla data del 23 aprile 2023 come termine delle attività di gestione dello SPID da parte dei provider, sia perché non c’è alcun riferimento nel DPCM istitutivo, né nello schema di convenzione pubblicato sul sito AGID, a un possibile intervento d’ufficio da parte di AGID sulle convenzioni, sia perché sul sito non è pubblicato alcun documento del genere.
Per questi motivi, l’associazione Comma 22 ODV ha presentato una richiesta di accesso generalizzato ai sensi dell’art. 5, comma 2, del Decreto Legislativo n. 33/2013.
Tutto questo attiene alla rivendicazione di un minimo di trasparenza che sarebbe d’obbligo su tematiche come questa, che impattano sulla vita e sui diritti di milioni di cittadini.
Cittadini che invece vengono utilizzati come ostaggi in funzione degli interessi delle varie lobby legate al business della digitalizzazione e che assistono impotenti ad un uso spregiudicato degli strumenti di accesso ai servizi pubblici online per favorire i privati.
Vale la pena di ricordare che:
– SPID non è stato imposto agli identity provider, ma è nato da una iniziativa dei privati che credevano erroneamente che il sistema sarebbe stato adottato oltre che dalle pubbliche amministrazioni, alle quali era concesso in uso gratuitamente, anche dalle imprese private che invece lo hanno praticamente ignorato;
– SPID non è stato scelto dai cittadini, che fino a quando hanno potuto hanno usato strumenti più semplici per l’accesso ai servizi online, come il PIN INPS, ma è stato reso obbligatorio;
– per impedire l’utilizzo di strumenti alternativi, è stato previsto per la carta d’identità elettronica (CIE) solo il livello di sicurezza 3, che impone l’utilizzo del supporto fisico e del relativo lettore NFC;
– per impedire l’utilizzo della tessera sanitaria – carta nazionale dei servizi (CNS) per l’accesso ai servizi pubblici online, questa viene emessa senza più il chip.
L’aspetto più incredibile di questa vicenda è che ora si cominci a ipotizzare non più il passaggio da SPID a CIE, ma addirittura, pur di mantenere i privati nel business, l’adozione di una nuova app, per la quale sarebbe già pronto il nome (Identità Digitale Nazionale – IDN) e il bando di gara da pubblicare entro marzo.
Si continuerebbe così lo sperpero di denaro pubblico per iniziative fallimentari come l’app IO o l’app IMMUNI, che hanno solo creato complicazioni burocratiche, difficoltà di applicazione e nessun vantaggio o semplificazione che comportasse una migliore fruibilità dei diritti dei cittadini.
L’associazione Comma 22 rivolge un appello alle forze politiche e alle associazioni di difesa dei diritti dei cittadini perché cessino queste vessazioni nei confronti dei cittadini e questo sperpero di risorse pubbliche.