Di Comma22 | 9 Settembre, 2017
Categoria: News
L’ondata di irrazionalità che ha colpito il nostro paese – il rifiuto dei vaccini, basato su illazioni e considerazioni “personali”, prive di scientificità – ha indotto il Governo, in piena estate, a reintrodurre l’obbligatorietà per dieci vaccinazioni (decreto legge del 7 giugno, n. 73, convertito in legge il 31 luglio, n. 119, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 5 agosto).
Tuttavia, a prescindere dall’importanza della decisione, ciò che emerge, ancora una volta, è la scelta del Governo di scaricare sui cittadini l’onere di dimostrare l’adempimento. Il decreto prevede che l’effettuazione delle vaccinazioni costituisca requisito per l’accesso alle scuole per l’infanzia (vale a dire che in caso di inadempienza i bambini non saranno ammessi alle scuole), mentre, nel caso della scuola dell’obbligo, in caso di inadempimento i genitori saranno sanzionati con una multa da 100 a 500 euro: ma starà ai cittadini, in questo caso i genitori, obbligati alla presentazione di idonea documentazione entro l’11 settembre per la scuola dell’infanzia ed entro il 31 ottobre per la scuola dell’obbligo, dimostrare che le vaccinazioni obbligatorie sono state effettuate; entro le stesse date, i genitori possono presentare una dichiarazione a titolo di autocertificazione (decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445), questa non esime i genitori dal dover comunque presentare l’idonea documentazione, ma permette solo di rinviarne la presentazione al 10 marzo 2018.
Eppure sono quasi trent’anni, dalla legge 241 del 1990, art. 18, che è stato sancito il principio che le pubbliche amministrazioni devono dialogare tra di loro, scambiarsi le informazioni di cui sono già in possesso, invece di utilizzare il cittadino per trasmetterle da un ufficio all’altro: ma alla ennesima occasione, con la scusa dell’urgenza, non si esita a scaricare sui cittadini l’onere di andare a reperire le stesse informazioni che sono disponibili presso le ASL, archiviate digitalmente.
E tutto questo mentre il Consiglio dei Ministri di venerdì 8 settembre approva la sesta versione del Codice dell’Amministrazione Digitale, ribattezzato per l’occasione “Carta della cittadinanza digitale”.
Come se ciò non bastasse, nei vari modelli di autocertificazione presenti sui siti web delle varie pubbliche amministrazioni, c’è il richiamo alle sanzioni penali previste dall’art. 76 del testo unico n. 445/2000, in caso di esibizione di atti contenenti dati non rispondenti a verità: come a dire che se ti sbagli a dichiarare qualcosa che, nel caso della scuola dell’obbligo, potrebbe costarti una multa fino a 500 euro, rischi fino a due anni di reclusione.
E se i cittadini cominciassero a rispondere: “Preferirei di no”, come lo scrivano Bartleby nel racconto di Melville, pretendendo il rispetto dei propri diritti di fronte alle cervellotiche richieste della pubblica amministrazione?